Descrizione
“Pivot verso l’Asia” . A causa del riassestamento degli imperativi strategici americani il baricentro del sistema internazionale si sta spostando sempre più verso l’Asia. Per l’egemone statunitense la posta in gioco sta nell’evitare la sovra estensione imperiale, rimettendo così in discussione la logica delle relazioni internazionali degli ultimi trent’anni per mantenere a debita distanza i contendenti al trono, cinesi e russi. Al centro di questa triangolazione siede la Mongolia, piccola poten-za gregaria ricca di risorse materiali e immateriali, che asserisce il suo mito fondante proprio a quell’impero che soggiogò l’Eurasia, cinesi prima e russi poi – che però ora ne rappresentano limen e limes. Mentre ad oggi i riflettori sono puntati sull’Ucraina e su Taiwan, passando per Gaza, nel sottosuolo mongolo la competizione per le risorse della potenza è in continua crescita. La ricerca strategica di un terzo vicino è una questione di sopravvivenza che però rischia di risucchiare Ulaanbator tragicamente nell’occhio del ciclone delle grandi poten-ze. Un approccio genealogico della questione mongola è necessario per capire la ragione degli incendi che bruceranno(?) un domani. Un approccio geopolitico è indispensabile per accogliere sfide e opportunità, per stimare punti di forza e punti di debolezza, e per chiedersi se, quella Mongolia, è stata una buona politica estera dopo il collasso del fornitore di sicurezza sovietico. Grazie alle sue sterminate risorse della potenza prima o poi lo scacchiere regionale (quindi, mondiale) chiamerà i mongoli all’appello nella competizione sino-americana: riusciranno gli eredi di Chinggis Khaan ad essere una forza centrifuga delle periferie cinesi, come desidererebbero gli schemi americani, oppure saranno l’ennesima vittima della competizione tra grandi potenze? È questa la domanda da porsi per com-prendere il presente. E allora, Pivot to Mongolia.







